5 Pasqua – Amici della Parola Questione di vita “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,1-8)

Pubblicato giorno 28 aprile 2021 - Senza categoria

Per il tralcio essere collegato alla pianta della vite non è un particolare da poco: è una questione di vita! Collegato alla vite, riceve la linfa che lo fa vivere. Separato dalla vite, sperimenta una morte progressiva. Collegato alla vite, ha la possibilità di raggiungere una pienezza: germogli, fiori e frutti. Separato dalla vite, è condannato ad essere sterile. Collegato alla vite, è l’immagine stessa della riuscita. Separato dalla vite, è il simbolo del fallimento e dell’inutilità.

L’immagine del tralcio e della vite è quanto mai efficace. Ci fa riflettere sulla nostra relazione con Cristo, su ciò che conta veramente nella nostra esistenza. Consideriamo veramente questo rapporto come fondamentale oppure esso costituisce uno dei tanti elementi dello scenario della nostra vita? Che cosa siamo disposti a sacrificare pur di conservarlo? Che cosa dimostra l’attenzione e la cura che gli riserviamo? E quali sono i frutti, le conseguenze di questa relazione?

Il tempo pasquale, come si vede, mentre fornisce un’eco all’annuncio della risurrezione di Gesù, ci conduce anche ad approfondire la nostra esistenza di credenti, di discepoli del Risorto. In tal modo ci aiuta a crescere nella fede. Sì, perché essa non corrisponde solamente ad un’accettazione di alcune verità: essa è prima di tutto e soprattutto una relazione unica, un’alleanza, un’offerta di grazia che è stata accolta con gioia, attraverso una decisione che cambia l’esistenza. Relazione unica, non una delle tante. Per quello che offre, naturalmente. Solo questa relazione trasforma la nostra fragilità e la nostra debolezza in un coraggio pieno di fiducia. Solo questa relazione ci permette di far fronte ai frangenti oscuri e drammatici senza venir meno, animati dalla speranza.

Ma questa relazione è unica, di conseguenza, anche per quello che esige. Non può bastarle il pagamento di un pedaggio rituale, né una generica adesione, e neppure una serie di tradizioni che colorano alcuni tempi particolari. Si tratta di una relazione che investe cuore e intelletto, volontà e sentimenti, atteggiamenti e scelte concrete.

Non un rapporto episodico, ma solido e fedele: come quello di un tralcio attaccato stabilmente alla pianta. Non il fuoco di paglia di un entusiasmo passeggero, ma un collegamento che chiama in causa le nostre decisioni nel tempo, nella durata. Questo è l’amore per Dio che ci viene domandato. È la risposta ad un amore smisurato che ci è stato da lui offerto per primo, in Cristo. Il verbo “rimanere” dice con forza quanto è stabile, intimo e profondo questo rapporto. Ad ogni discepolo viene chiesto di “dimorare” in Cristo, facendo “dimorare” le sue parole nella propria vita. Ad ogni discepolo viene donata la possibilità di essere “abitato” da una forza e da una pace sconosciute.

Passo alla Parola divina. «Rimanete»: il verbo viene ripetuto sette volte. «Rimanere » (e il suo sinonimo “dimorare”) è un verbo particolarmente caro a Giovanni. La vita cristiana, per essere veramente sequela evangelica, ha bisogno della relazione viva con il Signore. Con una precisazione. L’alleanza tra Dio e l’uomo, tra Creatore e creatura, tra Padre e figli nell’orizzonte biblico prende le mosse sempre dal cuore divino. È Dio che, spinto dalla sua tenerezza e attratto dall’amabilità creaturale dei suoi figli, esce per primo, si lega, si propone come alleato e chiede di corrispondere liberamente, in una parola di «rimanere». Questo “inizio” genetico del rapporto con il Dio vivente.

Se il senso della vita è questo, che faccio ora? Come mi rapporto con Lui?

Don Gianfranco /  “vi auguro di essere buon vino che allieta l’amore del cuore”.